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2° Incontro Nazionale

Enaoli (Grosseto), 18-20 febbraio 2005

18 febbraio 2005, ore 18.30

Apertura dei lavori

Corrado Teofili presenta il programma dell’incontro. A proposito della costituzione dell’Associazione, sottolinea come sia utile presentarsi in nome e per conto di una Associazione,  perché si diventa un interlocutore cui i medici prestano più attenzione. La giornata di oggi serve soprattutto per far conoscere le persone e per scambiare informazioni. La giornata di domani seguirà più o meno il programma anche se l’ordine di alcuni interventi è cambiato. I partecipanti avranno modo di ascoltare gli esperti e di fare domande. Nel pomeriggio ci sarà un notaio per la costituzione dell’Associazione. A proposito della quota associativa, che viene fissata in 25,00 euro all’anno, e delle prime spese dell’Associazione, da più parti si nota che occorre capire bene quali sono gli adempimenti fiscali e amministrativi obbligatori per le associazioni.

Presentazione del sito

Il webmaster Davide Amelio illustra il sito, sottolineando la necessità di arricchirlo con informazioni di base, semplici ma corrette. L’archivio del sito attualmente è riservato. E’ comunque opportuno che i dati personali non siano su Internet e che si rispetti la riservatezza sui dati riferiti alla patologia. Donatella Bizzotto suggerisce che si attivi un questionario per raccogliere i dati; Amelio spiega che si può fare con un form che arriva a lui e rimane fuori dalla rete. Infine Amelio chiede che chi trova un’informazione utile in rete (sito, documento etc.) provveda a comunicarglielo in modo che si possa fare il link.

19 febbraio 2005, ore 10.30

Saluti

Corrado Teofili ringrazia tutti i presenti e particolarmente gli specialisti che hanno voluto essere qui oggi e sottolinea come uno degli obiettivi dell’Associazione sia quello di collaborare ad eventuali progetti di ricerca su questa patologia e sulle patologie associate, in modo da poter essere utili sia alle persone sia agli specialisti.

Interventi

Giuseppe Damante (Laboratorio di Genetica, Policlinico Universitario di Udine)
Genetica ed Aniridia: analisi e prospettive

Il professor Damante si congratula con i presenti perché questo tipo di iniziative avvicinano il mondo della ricerca alle famiglie e sottolinea come le associazioni possano svolgere un ruolo importante non solo per aumentare la sensibilità, ma anche per fare da riferimento per la raccolta di fondi per la ricerca. Illustra poi lo stato delle ricerca sulle cause genetiche dell’aniridia e sulle caratteristiche del gene PAX6, gene master per lo sviluppo dell’occhio. Riferisce quindi come la terapia genica in questo caso non sia ancora praticabile e come, benché in teoria oggi si sia in grado di identificare le malattie oculari a base molecolare anche in fase prenatale, in pratica la ricerca rimanga molto costosa.

Anna Piccioni (Oculista e genetista)
La valutazione della funzionalità visiva nei pazienti con aniridia

La dottoressa Piccioni spiega che tutte le patologie rare sono complesse, soprattutto se si punta alla valutazione funzionale, cioè a capire non solo la patologia ma quali sono le ricadute sulla capacità di confrontarsi con gli impegni della vita quotidiana. Nel caso della vista, occorre tener presente che la visione è una funzione guida in tutte le aree dello sviluppo. Sono necessari dunque due tipi di valutazione: 1. valutazione clinica: aspetto anatomo-fisiologici della lesione, errori di refrazione ed accomodazione, misurazioni obiettive con test standard 2. valutazione funzionale: osservazione dell’uso delle funzioni visive nelle attività della vita quotidiana, nella comunicazione, nello sviluppo Quando si parla di bambini ipovedenti si è di fronte ad una grande sfida: il residuo visivo basso non è migliorabile e la funzione visiva ha un ruolo guida. Il bambino deve essere aiutato nella sua globalità da specialisti che sappiano che non è solo un problema dell’occhio, ma che occorre seguire tutto il resto. La valutazione funzionale serve per dare ai genitori la consapevolezza degli elementi caratteristici della patologia affinché tutte le potenzialità possano essere sfruttate. Intervento precoce significa assistere i genitori per minimizzare gli effetti della limitazione visiva nello sviluppo del loro bambini. I protagonisti sono i genitori e il loro rapporto con i figli e occorre promuovere l’empowerment, ossia la scoperta e l’uso di abilità da parte dei genitori. E’ importante anche il passaggio di informazioni transdisciplinare fra i genitori e tutte le figure che si occupano del bambino (medici, insegnanti, psicologi etc.).
Nel caso dell’aniridia, l’assenza di iride è solo l’aspetto più evidente. Molto più rilevanti sono le anomalie collegate alle altre strutture: epitelio corneale più fragile per via delle difficoltà di riproduzione delle cellule, unita spesso a secchezza oculare; opacizzazione del cristallino; ipoplasia della fovea e ipoplasia del nervo ottico. A tutto questo si aggiunge frequentemente l’aumento della pressione intraoculare. L’alterazione del diaframma comunque comporta che ciò che entra nell’occhio sia meno selezionato e sia minore la capacità di discriminare le informazioni, informazioni che vanno poi a convergere su una fovea e un nervo ottico meno potenti.
Tutto ciò determina che il residuo visivo dei pazienti con aniridia abbia un range medio fra 1 e 2 decimi. Un ruolo importante ha l’analisi della fotofobia e dell’abbagliamento, mentre per quanto riguarda la risposta ai colori e al contrasto si osserva che nell’aniridia di solito non c’è un’alterazione della percezione dei colori.
Occorre in ogni caso sottolineare come la vista non sia soltanto acuità visiva; l’acuità ci colpisce perché è misurabile, ma la visione è composta da tante funzioni: colori, contrasto, adattamento alle condizioni di luce, comprensione del movimento etc. La valutazione funzionale aiuta appunto a comprendere questi aspetti. Passare dai test clinici di pura e semplice misurazione alla valutazione funzionale riduce di molto lo stress dei genitori perché aiuta a comprendere che al di là delle misure occorre capire come “funziona” il bambino.

Stefano Loré (contattologo)
L’impiego delle lenti a contatto nel trattamento dell’aniridia

La qualità della visione sta diventando un elemento sempre più importante; nel caso dei bambini aniridici occorre tener conto delle alterazioni che le immagini retiniche subiscono, sulle quali possiamo intervenire. L’assenza dell’iride e la conseguente impossibilità di modulare il foro pupillare comportano vari fenomeni. Il più evidente è l’abbagliamento, ma è molto rilevante anche il fenomeno noto come scattering (non essendoci il diaframma i raggi si diffondono ovunque in modo incongruo). Nei casi di aniridia devono essere usati occhiali con lenti filtranti ad una frequenza specifica, non lenti aspecifiche. Le lenti a contatto più indicate sono le lenti colorate opache, utilizzate anche per altre patologie (albinismo, colobomi, leucomi corneali etc.).

Maria Luisa Gargiulo (psicologa e tiflologa)
Ipovisione e indipendenza

L’aniridia non è un problema visivo ma un problema di vita. Il primo obiettivo dello psicologo tiflologo è aumentare l’empowerment dei genitori per evitare che sorgano problematiche secondarie e che da una situazione patologica ne insorgano delle altre. La vista condiziona lo
sviluppo, deficit visivi anche parziali influenzano tutte le sfere: cognitiva (specie topologica), motoria, psicologica. Il contatto visivo, ossia la capacità di percepire la direzione dello sguardo dell’interlocutore e di agganciarlo, ha un ruolo importante nella relazioni. Se la capacità di contatto visivo è limitata occorre attivare altre modalità per evitare che a causa della difficoltà di stabilire il contatto si possano creare difficoltà nella relazione, soprattutto in situazioni di gruppo. Accade che i bambini ipovedenti preferiscano situazioni con due o tre persone perché riescono ad avere un maggior controllo.
Spesso non ci si rende conto di quanto la comunicazione passi attraverso il non verbale (gesti, indicazioni etc.) e occorre tenerne conto per adeguare le modalità di comunicazione. Inoltre, se è vero che i bambini ipovedenti imparano a interpretare la realtà anche sulla base di poche indicazioni e hanno una elevata capacità di dedurre informazioni da pochi indizi visivi, occorre considerare che questa capacità a volte può creare incomprensione da parte dell’adulto. L’adulto infatti non capisce perché in situazioni che a lui sembrano uguali una volta il bambino vede e una volta no, e non si rende conto che la situazione può essere in realtà diversa nei due casi e soprattutto più o meno facilmente interpretabile dal punto di vista cognitivo.
I genitori hanno spesso comportamenti di controllo visivo tali che il bambino comincia a pensare di essere bravo se ci vede bene, perché se non vede qualcuno si preoccupa e perché non è quello che ci si aspetta da lui. Quindi impara a simulare alte performance visive e ne viene diminuita la sua capacità di chiedere quando è in difficoltà. La cosa diventa più grave a mano a mano che il bambino cresce perché il gap si fa più evidente. Il problema del materiale didattico va posto subito perché quando un bambino ci mostra il suo limite vuol dire che lo ha già superato da un pezzo, nascondendolo finché ha potuto.
I bambini ipovedenti non hanno bisogno di modificare gli obiettivi perché non hanno ritardi aggiuntivi; è necessario invece modificare le metodologie e adottare gli strumenti adatti alla sua condizione. La scuola italiana prevede l’attivazione del PEI, il piano educativo individualizzato.
L’educazione dei bambini ipovedenti è spesso stata in passato un’educazione rinunciataria, oggi invece c’è la moda di sforzare il più possibile il bambino perché faccia le stesse cose degli altri nello stesso modo degli altri, perché somigli il più possibile ad un bambino normale. Questo non è un obiettivo raggiungibile e può generare solo difficoltà e frustrazioni.
Una situazione specifica è quella della lettura: un bambino con 1 o 2 decimi deve senz’altro usare la vista per leggere, ma è utile l’integrazione con altre modalità di lettura. Leggere infatti può essere faticosissimo, e questo toglie energie a tutti gli altri atti cognitivi; la domanda da porsi non è tanto se il bambino legge bene o male, ma qual è per lui il modo migliore per accedere al significato del testo da leggere. Grande utilità hanno i testi digitalizzati, che si possono ingrandire, contrastare, cambiare di colore etc.

Michele Fortunato (Oculista – Ospedale Bambino Gesù di Roma)
Aniridia: fisiologia e patologia

Il professor Fortunato, alla domanda di un genitore sul perché spesso i medici siano contrari alla costituzione delle associazioni dei malati, risponde che invece vede sempre di buon occhio ogni tipo di associazione che si ponga il problema di arrivare ad una cura migliore per i malati, perché solo ascoltando chi pone i problemi è possibile migliorare la capacità di curare.
Poi illustra gli ultimi progressi della medicina nella cura delle malattie associate all’aniridia, patologia che da qualche tempo si è cominciato a capire meglio anche da un punto di vista terapeutico.

Costituzione dell’Associazione

Dopo il saluto di Angelo Gentile di Legambiente, viene invitato in sala il notaio Bruno Detti per la costituzione dell’Associazione “Aniridia italiana”. Il notaio dà lettura dell’atto, i soci fondatori lo sottoscrivono. Vengono eletti membri del Consiglio Direttivo: Barbara Poli (Presidente), Corrado Teofili (Vice-Presidente), Davide Amelio, Donatella Bizzotto e Cesare Ottaviano.