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3° Incontro Nazionale

3° Incontro Nazionale – 25-26 maggio 2007

Roma, 25-26 maggio 2007

 

Nei giorni 25 e 26 maggio 2007 si è svolto a Roma il 3° incontro nazionale di Aniridia italiana, l’associazione fondata nel 2005 che riunisce le persone affette da aniridia e le loro famiglie.

L’aniridia è una delle patologie rare individuate in Italia dal DM 279/2001 in quanto mostra un’incidenza da 1:40.000 a 1:100.000 nati in relazione ai diversi campioni di popolazione presi in esame; è determinata dalla mutazione del gene PAX 6, situato nel cromosoma 11, e può essere ereditaria o sporadica.

La caratteristica più evidente della patologia è l’assenza di iride, che determina fotofobia e abbagliamento, ma molte altre strutture dell’occhio possono essere interessate da alterazioni più o meno gravi che provocano l’insorgenza di patologie associate, fra cui glaucoma, cataratta, opacità della cornea, ipoplasia della macula e del nervo ottico.

Aniridia Italiana è nata per riunire le persone affette da questa patologia e per cercare di sviluppare insieme alcuni obiettivi:

  • conoscersi e scambiare informazioni
  • promuovere una migliore conoscenza della patologia
  • collaborare allo sviluppo della ricerca
  • coordinarsi con le associazioni straniere omologhe e più in generale con le associazioni italiane e straniere che si occupano di malattie rare.

L’incontro di fine maggio a Roma ha permesso agli associati e alle loro famiglie (circa ottanta i partecipanti) di conoscersi, confrontarsi e lavorare insieme intorno a questi obiettivi.

 

Il primo momento importante si è svolto venerdì 25 maggio, nell’ambito del 5° Congresso internazionale della Società Oftalmologica Italiana, che ha ospitato il seminario Aniridia: quali prospettive per un registro funzionale dei pazienti.

Dopo l’introduzione del dr Lucio Zeppa, consigliere SOI, si sono succeduti gli interventi del prof. Pasquale Vadalà, primario dell’unità Operativa Oculistica dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, della dr.ssa Domenica Taruscio, responsabile del Centro Nazionale Malattie Rare dell’istituto Superiore di Sanità, e di Barbara Poli, presidente di Aniridia italiana.

Gli interventi e il dibattito che ne è seguito, con il contributo di altri medici e ricercatori presenti in sala, hanno delineato le prospettive teoriche e operative per la costruzione delle Linee guida della patologia e del Registro nazionale dei pazienti, strumenti entrambi essenziali per sviluppare una migliore conoscenza della patologia e facilitare l’adozione di prassi condivise su tutto il territorio nazionale, da costruirsi secondo la metodologia messa punto dall’Istituto Superiore di Sanità e avvalendosi della competenza ed esperienza di oculisti specialisti delle varie aree d’intervento della patologia e interessati a collaborare al progetto.

 

Nel pomeriggio, presso l’Hotel Carisma, dopo la relazione della presidente sulle attività svolte e i progetti futuri, si è dato spazio ai partecipanti per un giro di presentazioni; vi sono stati momenti intensi, perché molti si trovavano per la prima volta in contatto con altre persone che potevano capire e condividere le difficoltà, i sentimenti e le sofferenze che incontra chi è colpito da una malattia rara che coinvolge la vista, una delle funzioni più importanti dell’organismo soprattutto per quanto riguarda l’autonomia e l’integrazione in una organizzazione sociale fondata sulla “dominanza visiva”.

In particolare i genitori di bambini affetti da aniridia hanno potuto ascoltare e fare domande a ragazzi ed adulti nella stessa condizione, ricavandone motivi di incoraggiamento e fiducia e anche qualche consiglio pratico; la cena sociale, in un tipico ristorante romano, ha poi consentito a tutti di stemperare le emozioni in momento conviviale e in un dialogo più disteso.

 

La giornata di sabato 26 maggio è stata interamente dedicata al convegno Aniridia: autonomia, integrazione e qualità della vita, organizzato dall’associazione con il fondamentale contributo di Maria Luisa Gargiulo, psicologa-tiflologa e coordinatrice dell’incontro, che ha visto l’intervento di specialisti di vari settori.

I lavori sono stati aperti da Corrado Teofili, vicepresidente dell’associazione, che ha spiegato l’obiettivo della giornata: aiutarci a capire come possiamo utilizzare al meglio le nostre potenzialità visive in una situazione di deficit.

Allo stesso concetto si è richiamata Maria Luisa Gargiulo, che ha sottolineato come i necessari approcci diagnostici e terapeutici al deficit visivo rappresentino solo una parte del problema, al di là del quale ciò che va compreso è come la condizione di malattia impatti sulla vita delle persone e come sia possibile intervenire per migliorarne la qualità.

 

La parola è quindi passata a Stefano Loré, ottico e contattologo, che, con la collaborazione di Marisa Masselli, ha illustrato Le potenzialità visive di una persona con aniridia.

Nel corso della relazione, Loré ha spiegato come sia fondamentale proteggere l’occhio aniridico dalle radiazioni nocive, soprattutto oggi che le condizioni climatiche provocano un impatto più pesante di queste radiazioni; non si tratta quindi solo di proteggere l’occhio dalla luce per ridurre l’abbagliamento, occorre anche scegliere quali frequenze dello spettro elettromagnetico si vogliono bloccare per proteggere le membrane dell’occhio (per l’aniridia, dai 350-400 nanometri in giù).

Inoltre, per una valutazione che non si limiti agli elementi meramente quantitativi (acuità visiva espressa in decimi), ma cerchi di determinare anche la qualità della visione, sono molti gli elementi da considerare: il fenomeno dello scattering (ingresso disordinato della luce nell’occhio), l’abbagliamento notturno e diurno, la ridotta sensibilità al contrasto e la presenza di aberrazioni ottiche.

Sono stati infine elencati e descritti gli ausili per ridurre le aberrazioni: occhiali, LAC morbide, LAC RPG, ablazione standard, LAC colorate opache e IOL diaframmatiche, descrivendone vantaggi e controindicazioni.

In particolare si è evidenziato come le LAC colorate opache possano essere utili nei casi di aniridia perché consentono di ripristinare il foro pupillare limitando lo scattering e le conseguenti aberrazioni. Un utilizzo precoce delle LAC potrebbe avere inoltre un impatto positivo a lungo termine sulla funzionalità visiva, anche se al momento non è possibile affermarlo con certezza. In ogni caso l’applicazione di LAC in bambini aniridici va fatta con il pieno e consapevole coinvolgimento dei genitori e degli specialisti per valutare le condizioni di occhi con caratteristiche particolare (soprattutto il limbus incerto) e per garantire la massima sicurezza in termini di disinfezione, lubrificazione e riconoscimento precoce dell’eventuale insorgenza di patologie secondarie.

 

La relazione di Maria Luisa Gargiulo, Crescere tra attaccamento ed autonomia: le risorse ed i problemi conseguenti all’ipovisione, si è aperta sottolineando la necessità di capire come la diminuzione delle informazioni sensoriali legata al deficit visivo si rifletta sulla qualità della vita.

I genitori di un bambino con deficit visivo si trovano alle prese con un grave dilemma fra la necessità di proteggere il piccolo e quella di svilupparne l’autonomia.

Se il senso più implicato nella sicurezza e nello svolgimento di molteplici funzioni della vita quotidiana, la vista, è compromesso, è normale che il genitore sia preoccupato e ansioso; allo stesso tempo egli sa perfettamente che, sostituendosi al bambino per proteggerlo, in realtà non ne favorisce la sicurezza a lungo termine.

Per affrontare il dilemma è importante cominciare a capire quali sono i nostri pensieri e sentimenti sull’aniridia perché questi influenzano il nostro atteggiamento anche se non ne siamo consapevoli.

Lo sviluppo di questa consapevolezza richiede che le persone coinvolte affrontino un percorso di conoscenza e cambiamento, che Maria Luisa Gargiulo ha illustrato iniziando dalle reazioni alla diagnosi. Dopo le fasi di shock e frattura, negazione dell’evento, senso di colpa o senso di rabbia, patteggiamento e prendere tempo, si giunge all’accettazione accompagnata da un aumento della consapevolezza e da una apertura nuova.

A questo punto diventa importante conoscere la situazione:

  • cosa comporta per la crescita del mio bambino avere l’aniridia
  • quali sono le limitazioni visive del mio bambino
  • come queste interagiscono con la vita quotidiana
  • quali funzioni NON sono coinvolte
  • in quali modi le funzioni coinvolte possono essere compensate
  • quali sono i sentimenti su tutto ciò.

Occorre poi definire aspettative, obbiettivi, timori per il futuro:

  • esistono dei traguardi raggiungibili?
  • quali sono i risultati che possiamo aspettarci dal nostro lavoro?
  • cosa potremmo raggiungere a breve termine?
  • come andare avanti?

Definiti gli obiettivi, occorre capire quali sono i comportamenti concreti per raggiungerli e imparare a usare particolari strumenti in specifici modi per attuare alcune attività. Ciò richiede una consapevole disponibilità al cambiamento:

  • ci sono comportamenti prevedibili che devono cambiare in relazione al raggiungimento degli obiettivi?
  • esistono conseguenza negative derivanti da questi cambiamenti?
  • quanto sono disposto ad affrontarle?
  • cosa penso che si possa cambiare? Perché?
  • cosa penso non si possa cambiare? Perché?

E’ importante inoltre sfatare alcune credenze comuni che possono rendere più difficile il percorso, cominciando a capire che NON E’ VERO che:

  • riconoscere i limiti visivi di mio figlio lo farà sentire diverso in senso negativo
  • parlargli apertamente della malattia lo renderà più fragile e spaventato
  • utilizzare uno strumento o un comportamento non comuni per raggiungere un obiettivo lo renderà diverso
  • insegnare ad usare anche altri sensi lo renderà meno capace di utilizzare ed allenare la vista.

La conoscenza dell’ipovisione deve partire dalla constatazione che la visione è un atto complesso, per definire il quale i parametri usati comunemente (acuità visiva e campo visivo) sono largamente insufficienti e vanno integrati con altri fattori importanti quali la discriminazione dei colori, la discriminazione del contrasto di luminanza, la visione ed inseguimento di stimoli in movimento, la sfera visiva, la determinazione delle distanza soggettiva e il riconoscimento della forma.

Ma una volta determinata la quantità e qualità delle informazioni provenienti dai sensi, occorre sapere che la visione dipende anche dal modo in cui la persona elabora, interpreta, definisce, confronta, memorizza ciò che vede.

In altre parole, quando i dati sono carenti l’organismo tenta comunque di attribuire un significato a ciò che percepisce, utilizzando modalità quali l’interpretazione visiva, l’integrazione immaginativa (elementi parziali o singoli particolari vengono completati ed integrati da elementi che non sono fisicamente visti ma immaginati), la visione per indizi, il completamento e la conferma intermodale.

Per concludere, Gargiulo ha sottolineato come gli interventi integrati per bambini e ragazzi ipovedenti comprendano varie aree di intervento:

  • Diagnosi funzionale visiva
  • Supporto psicologico alle famiglia
  • Supporto didattico e metodologico
  • Consulenza per le protesi informatiche
  • Consulenza per il PEI (piano educativo individualizzato)
  • Consulenza per il materiale didattico
  • Supervisione ai progetti riabilitativi

 

E’ quindi intervenuta Carla Mondolfo, presidente dell’ANS – Associazione nazionale subvedenti (www.subvedenti.it), con una Rassegna delle risorse tecnologiche al servizio della qualità della vita delle persone con ipovisione. E’ stato in primo luogo illustrato il servizio Tommaso! che consente a chi ha problemi di vista di “conoscere, provare e confrontare per non comprare a caso” (www.subvedenti.it/Tommaso.asp). L’assunto di partenza è che un ausilio per ipovisione, sebbene non risolva il problema, può contribuire a renderlo gestibile solo se è scelto bene in relazione alle specifiche caratteristiche della patologia, all’età e alle esigenze di studio e di lavoro della persona interessata, alle sue abilità nell’utilizzo e alla disponibilità a sforzarsi per raggiungere l’obiettivo.

Il servizio Tommaso!, che dal 2003 (dal 2006 in convenzione con la Regione Lombardia) ha seguito alcune centinaia di utenti singoli e organizzato corsi per addetti ai lavori (oculisti, ortottisti, ottici, insegnanti curriculari e di sostegno, assistenti alla comunicazione, etc.), è gratuito, privo di finalità commerciali e si avvale del lavoro dei volontari dell’ANS. Carla Mondolfo ha poi illustrato gli ausili per ipovisione, descrivendo sia quelli ottici sia quelli elettronici, nonché i software ingrandenti, OCR, di riconoscimento vocale e per la didattica, e ha concluso sottolineando che “un ausilio aiuta se si ha la volontà di volersi aiutare”.

 

 

A conclusione della sessione, la presidente di Aniridia Italiana, Barbara Poli, è intervenuta per sottolineare come gli interventi della mattina abbiano consentito di comprendere che la specificità delle persone affette da aniridia va evidenziata solo per quegli aspetti – come quelli medici – che risultano effettivamente specifici, mentre per le problematiche come l’ipovisione, l’autonomia e l’integrazione scolastica e sociale o la condizione di malattia rara, l’associazione deve invece ricercare il contatto e la collaborazione con tutti i soggetti portatori delle medesime esigenze, indipendentemente dalla loro origine.

 

Nel pomeriggio Laura Corsi, istruttore dell’ANIOMAP – Associazione nazionale istruttori di orientamento, mobilità e autonomia personale (www.aniomap.it), ha parlato di Ipovisione e mobilità autonoma: alla conquista dello spazio.

L’ANIOMAP raggruppa gli istruttori italiani e oltre all’intervento diretto sui pazienti si occupa anche di realizzare corsi per la formazione degli operatori e di sensibilizzazione sul tema delle barriere sensoriali.

La riabilitazione delle persone ipovedenti attraverso i corsi di orientamento, mobilità e autonomia personale è un atto terapeutico e non assistenziale, in cui l’operatore deve trasmettere all’allievo capacità che prima non aveva, e come tale è riconosciuta dalla circolare n. 92/28 aprile 2003 del Ministero della Salute in materia di Interventi riabilitativi e di integrazione sociale dei soggetti minorati della vista.

Il punto di partenza è la definizione del concetto di autonomia: gestire la casa e la famiglia, andare a scuola, lavorare, avere cura della propria persona, sono attività ordinarie non sempre facili per chi è ipovedente, e che però determinano la qualità della vita, sono momenti di affermazione della propria libertà e indipendenza.

L’ipovisione, diminuendo la capacità di avere informazioni a distanza, limita l’apprendimento per imitazione del bambino; a ciò si aggiunge il fatto che spesso i genitori, anche quelli più consapevoli della necessità di sviluppare l’autonomia personale del figlio ipovedente, nella pratica si sostituiscono a lui nel compiere i piccoli gesti di autonomia quotidiana.

L’istruttore che opera con un bambino deve quindi tener presente che per l’efficacia del suo lavoro è fondamentale il coinvolgimento dei genitori, che sono le persone che sono più a contatto con il bambino e svolgono con lui tutti i giorni le attività pratiche.

La necessità di un intervento riabilitativo non dipende direttamente dall’entità della minorazione visiva, bensì dalla valutazione di quanto il deficit stia limitando l’autonomia della persona e condizionando la qualità della sua vita.

Il possibile schema d’azione di un istruttore nelle tre aree d’intervento (gioco, scuola, ambiti tecnici specifici) parte dalle risposte a tre domande:

  1. Quanto vede la persona
  2. Quando e come la persona vede meglio (ausili, condizioni di luce)
  3. Cosa può migliorare la sua prestazione (ausili specifici, uso dei sensi)

Gli aspetti da considerare sono molteplici:

  • non dare compiti troppo difficili, non superabili, ma compiti adeguati da rendere più difficili a mano a mano che crescono le capacità della persona
  • sviluppare l’integrazione sensoriale, la capacità di far funzionare tutti i sensi in combinazione tra di loro
  • insegnare a valutare quando la percezione visiva è affidabile al cento per cento o meno o nulla, comprendendone i limiti e sviluppando la percezione intermodale
  • sviluppare il senso dell’orientamento, che non è innato ma è un prodotto dell’educazione e dell’esperienza
  • istruire all’uso degli ausili
  • limitare l’insorgenza di altri deficit (fisici, relazionali, cognitivi) non legati direttamente alla patologia visiva ma al modo in cui essa viene vissuta e affrontata nell’ambiente di appartenenza; ciò è particolarmente importante per i soggetti in età evolutiva.

Laura Corsi ha quindi concluso sottolineando come l’efficacia dell’intervento dipenda naturalmente dalla disponibilità e dall’impegno del paziente, perché la riabilitazione non può mai essere imposta, ma anche dalla fiducia che sente intorno a sé; i genitori in particolare devono avere la fiducia – e trasmetterla al bambino – che migliorare è possibile e si può andare molto oltre quello che ci aspettiamo.

 

La giornata si è conclusa con la tavola rotonda I giovani si raccontano: esperienze di vita e di studio con l’Aniridia, in cui Simonetta, Gianmaria, Valentina e Monica hanno risposto alle domande di Maria Luisa Gargiulo raccontando la propria esperienza.

Sono stati affrontati i temi del rapporto con i genitori, dell’integrazione scolastica e lavorativa, della consapevolezza dei propri limiti e delle strategie per superarli, del rapporto fra “normalità” e “diversità” negli ambiti sociali, dell’utilità dello sport per l’acquisizione della capacità di mettersi in gioco.

Si è cercato anche di rispondere alla domanda: come dobbiamo parlare dell’ipovisione ai bambini e alle persone con cui essi sono in contatto?

Si è sottolineato come le modalità utilizzate dai genitori per parlarne trasmettano ai bambini il valore che viene attribuito alla cosa. Se i bambini sentono che se ne parla in modo normale e diretto ricevono l’impressione che la situazione verrà affrontata in modo sereno e realistico. Se invece percepiscono il disagio e la non disponibilità a discuterne, ne ricavano l’idea che di questa cosa non si può parlare e che deve essere davvero una gran tragedia, qualcosa di cui ci si deve vergognare o essere imbarazzati, innescando un sentimento di sfiducia nelle proprie capacità.

I partecipanti alla tavola rotonda hanno concluso rivolgendosi ai genitori presenti in sala e ponendo l’accento sulla necessità che essi “seguano i propri figli da lontano”, senza facilitare troppo il loro percorso di crescita, in modo che l’aiuto che prestano loro non diventi un ostacolo allo sviluppo dell’autonomia.